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Da Betlemme al cielo: così un’impresa italiana ha restaurato la Basilica della Natività

È la chiesa costruita nel luogo esatto in cui si dice sia nato Gesù e stava cadendo a pezzi.
L’autorità nazionale palestinese ha indetto un bando per restaurarla e la Piacenti, un’impresa famigliare di restauratori pratesi, l'ha vinto.
Questa è la loro storia.

di Francesco Cancellato
Direttore responsabile Linkiesta.it

Settembre 2016

Ci sono pochi luoghi come Betlemme, al mondo. È lì che nasce il re Davide, il figlio del pastore che sconfisse Golia con una fionda e un sasso. È lì che nacque Gesù, che nonostante fosse di Nazareth di Davide, secondo le profezie, doveva essere discendente e concittadino. È lì che nel 326 Elena, madre dell’imperatore Costantino, convertita al cristianesimo dal figlio, durante un viaggio in Terra Santa, lo convince a costruire una maestosa Basilica a cinque navate nel punto esatto in cui, secondo le leggende cristiane, si trovava la capanna della natività. È lì che San Girolamo, qualche decennio dopo, traduce in latino la Bibbia nella versione oggi conosciuta come Vulgata, vero e proprio fondamento sul quale si è sviluppata la cultura cristiana occidentale.

Ed è lì, soprattutto, che in qualche modo si realizza, quasi per miracolo, qualche sorprendente brandello di coesistenza religiosa e di pace tra distruttori seriali come i crociati, i persiani e i califfi arabi. Che si combattono senza esclusione di colpi per duemila anni, lì attorno. Ma che sorprendentemente risparmiano sempre la basilica. Oddio, quasi, perché i Samaritani - capito perché quello buono era una felice eccezione biblica? - la radono al suolo nel 529, ma l’imperatore Giustiniano già due anni dopo la fa ricostruire. Da quel momento, tutti gli altri conquistatori la risparmiano, invece: i persiani, perché trovano sulle pareti un mosaico raffigurante i tre Magi, figure sacre anche per loro. Omar che invece di distruggerla, ci entra e prega. El Hakim, che la mantiene in vita perché Gesù è venerato anche dai musulmani, Ali Al Zahir per necessità di buone relazioni con l’impero bizantino. Nel frattempo, quindici terremoti devastano la Palestina, ma la basilica rimane in piedi.

Quel che gli uomini e la terra che trema non riescono a distruggere, rischia tuttavia di capitolare sotto i colpi del tempo e dell’incuria. Tutta colpa di un accordo che, circa duecento anni fa, l’allora sultano ottomano impose alle tre chiese che si dividevano e tutt’ora si dividono la basilica: quella greca-ortodossa, la cattolica-latina e l'armena-ortodossa. È un accordo che definisce le regole di proprietà e uso, ma esclude le manutenzioni. Risultato? Nessuno se ne occupa e per un centinaio d’anni la pioggia scroscia all’interno delle cinque navate. Quando l’Unesco decide di inserire la Basilica tra i patrimoni dell’umanità, il tetto sta crollando e dei duemila metri quadrati di mosaici ne sono rimasti 130. È il 2012 e l’Autorità Nazionale Palestinese decide di indire un bando per il restauro della basilica.

È lì che comincia l’impresa. O meglio, come lo definisce Giammarco Piacenti il «sogno da cui non mi sono ancora svegliato». Della società di restauro di famiglia, la Piacenti Spa, nata a Prato nel 1875, lui è il titolare, la quarta generazione della dinastia. Soprattutto è uno che guarda lontano, a cui piacciono le missioni impossibili. E un bel giorno del 2013 scova su internet la missione più impossibile di tutte, il bando per il restauro della Basilica della Natività di Betlemme: «Ho scaricato il bando e l’ho fatto vedere ai nostri partner. Si sono smarcati tutti. È impossibile, vai avanti tu, mi hanno detto», ricorda. Giammarco va avanti da solo: «Sono andato là, oltre il muro che divide la Cisgiordania a Israele. Ho visto il lavoro che c’era da fare e ho capito che il lavoro era nelle nostre corde, che ce la potevamo fare».

Il problema sono gli avversari, giganti del restauro e dell’edilizia russi, inglesi, americani. Nella città di Davide, tuttavia, Golia non può che capitolare: «La gara era centrata sull’offerta economicamente più vantaggiosa, ma nei punteggi l’offerta tecnica era comunque molto importante - racconta Giammarco -. Da buon italiano ho puntato sulla qualità del lavoro, coinvolgendo una rete di professionisti che rendessero la nostra offerta tecnica la migliore di tutte». È stata la mossa decisiva. La Piacenti vince la gara per rifare il tetto. E, a cascata, le viene affidato tutto il restauro della basilica.

Il difficile comincia dopo, quando il sogno lascia spazio alla realtà, il miracolo a un lavoro quotidiano di anni. Difficile, difficilissimo anche per una realtà che ha vinto appalti agli Uffizi e alla Reggia di Caserta: «L’appalto prevedeva che la chiesa rimanesse sempre aperta, per non bloccare l’afflusso di pellegrini - ricorda -. Di fatto è un flusso continuo, perché le tre chiese si dividono la giornata, per le loro celebrazioni». Non finisce qui: perché Betlemme, anche se ha un sindaco cristiano e donna è una città quasi totalmente musulmana, con usi e orari musulmani. Così come una trentina dei 170 lavoratori che durante il ramadan non possono nemmeno bere durante il giorno. E sbuffano, nel trovarsi di fronte, capi squadra e capi cantiere donne: «Anche solo organizzare il lavoro era un’impresa», racconta Piacenti.

Nel frattempo, c’è da riportare in vita un pezzo morente di storia dell’umanità. Il restauro del tetto, ultimato, è ormai considerato un caso di studio da un punto di vista tecnico: «A me piace definirlo un cantiere medievale: accanto al supporto scientifico, con tante università, tanti specialisti che analizzano e diagnosticano, c’era un sacco di lavoro manuale. Lo stesso vale per i colonnati che dividono le cinque navate della Basilica. Il capolavoro però la Piacenti lo realizza coi mosaici: «Lo dico senza false molestie: abbiamo riscritto dei pezzi di Storia - gonfia il petto Giammarco Piacenti -. Ad esempio, abbiamo scoperto che i mosaici sono tutti databili al 1155, mentre fino a qualche anno fa si parlava di parti dell’ottavo secolo. E poi c’è la storia del settimo angelo».

Già, il settimo angelo. A ornare le navate della basilica, originariamente, c’erano i mosaici di ventiquattro angeli, dodici per lato, che annunciano la nascita di Gesù. Col tempo, tra quelli coperti o definitivamente distrutti, di quegli angeli ne erano rimasti solo sei. O meglio, si credeva fossero sei: «È stata mia nipote Silvia a scoprire il settimo angelo - racconta Giammarco -. Lei ha ventinove anni e si è portata a Betlemme una termocamera sensibilissima, di quelle in uso agli eserciti. L’ha passato su tutti gli intonaci della Basilica per rilevare tutte le differenze di temperatura che le consentissero di trovare qualcosa di nascosto. A un certo punto nella telecamera compare una grande chiazza. Erano le migliaia di pezzi del settimo angelo che la stavano chiamando». Oggi Silvia sta aspettando un bambino. Quando nascerà sarà battezzato nella Basilica.

Dal cantiere della basilica sono passate cinquantaquattro autorità mondiali, da Papa Francesco a Matteo Renzi. Al meeting di Rimini la Compagnia delle Opere, cui Piacenti è associata, ha dedicato alla Basilica la mostra “Restaura il cielo”. Il lavoro è ancora a metà, però: «Stiamo andando avanti da tre anni e tra tre anni finiremo - racconta Giammarco - E quando avremo finito col restauro, sarà necessario andare avanti con uno studio dei percorsi dei pellegrini e della valorizzazione della basilica, ad esempio, per formare guide che raccontino una storia reale e autentica. Nel 2020 Betlemme sarà la capitale della cultura del mondo arabo. Per l’autorità nazionale palestinese è un evento fondamentale, il riconoscimento reale della loro esistenza. Ed è incredibile che il simbolo di questa celebrazione sia una chiesa cristiana. Così come è incredibile che dall’esperienza di Betlemme sia partito anche il restauro del Santo Sepolcro». Un distillato di pace purissima, in una terra devastata dalle guerre. Un miracolo? Altrove, forse. A Betlemme è la regola.