Tredici incontri, dal 19 ottobre al 27 marzo: è questo il programma dell'edizione 2011-2012 di Conversazioni d'Autore, il fortunato ciclo di incontri con gli autori promosso dal Comune di Lodi in collaborazione con la Libreria Sommaruga e la partecipazione del Comitato Libera Arte e Musica e dell'associazione Fabularia-Letture ad Alta Voce, presentato oggi nel corso di una conferenza stampa svoltasi presso la Sala Carlo Rivolta del Teatro alle Vigne, che sarà sede degli appuntamenti della rassegna (sempre con inizio alle ore 21.00; in due occasioni gli incontri si terranno presso il Centro di Partecipazione Giovanile di largo Forni).
La storia di un figlio, che cerca il padre, che cerca il figlio. A rincorrersi sul grande prato della memoria sono Giacinto Facchetti, uno dei più rappresentativi campioni del calcio italiano, e Gianfelice, attore, drammaturgo, regista, ma qui solo suo figlio. Un racconto che unisce le grandi gesta dell'atleta simbolo di una generazione di calciatori con i ricordi di un padre che si svelava più con i gesti e con l'esempio che con le parole. Una testimonianza di quanto possano essere vicine le figure dell'uomo e dell'eroe quando correndo dietro ai sogni si costruisce una vita esemplare. E insieme il racconto accorato, e velato di nostalgia, di un calcio più ricco di sostanza che di soldi, rimasto sempre presente nel cuore e nei desideri di tutti; una partita dei sogni dove Giacinto Facchetti sarà sempre capitano.
Gianfelice Facchetti dopo la laurea in scienze dell'educazione si forma presso la scuola di teatro di Quelli di Grock. Dal 2000 collabora con diverse realtà teatrali educative come la Casa Circondariale di Monza e l'Istituto dei Ciechi di Milano (dove è andato in scena con il Teatro al Buio), impegni che alterna al lavoro con la Compagnia Teatrale Facchetti/De Pascalis, di cui è regista, autore e attore. La sua carriera di attore cinematografico ha visto la partecipazione sia a fiction televisive, tra le quali "Il grande Torino" e "Il Pirata-Marco Pantani", che a film per il cinema come "L'aria del lago". Dal 2008 collabora con il Corriere della Sera. Nel 2010 inizia la carriera televisiva con "Le Iene", dove debutta il 3 ottobre con un servizio sulla vivisezione.
Italia, un giorno qualsiasi: essere un chiunque, fidarsi delle regole, degli schemi, dei colletti bianchi, dello Stato. E morire di truffa bancaria. Aspettare, quindi, la giustizia ordinaria. Non vederla arrivare. Imparare a odiare. Imparare a fabbricarsi un'altra forma di giustizia. Italia, una casa a ridosso del mare, estate duemila e qualcosa: Virginia ha diciannove anni, una passione per i manuali d'istruzioni, perché "lì almeno ogni cosa funziona in modo chiaro"; è grassa, disillusa, solitaria; con lei sua nonna, che si circonda di piante e fiori; il terzo inquilino è un aspirante scrittore e sta per pubblicare, autofinanziandosi, una biografia di Silvio Berlusconi, dal titolo "Noi tutti siamo Silvio Berlusconi". In comune due morti di truffa bancaria, la ferocia del lutto, ma, soprattutto, una pistola Sig-Sauer e la convinzione che si dovrà fare da soli, per fare piazza pulita dei furbetti e restituire dignità agli onesti. Italia, duemila e qualcosa: essere un chiunque, e chiedersi quale sarebbe il crimine giusto per non passare da criminali.
Ilaria Rossetti ha ventiquattro anni. Ha vinto nel 2006 il Premio Subway Letteratura Under 19 e nel 2007 il Campiello Giovani. Nel 2009 ha pubblicato con Giulio Perrone Editore "Tu che te ne andrai ovunque". "Happy Italy" è il suo secondo romanzo. Vive a Londra.
"Io e Dio" di Vito Mancuso ruota intorno a una domanda: una domanda intima, personale, che però coinvolge l'intera umanità, e dunque ciascuno di noi. In questo senso, per ogni uomo che viene sulla terra, cristiano o no, la partita della vita è sempre tra io e Dio. Tuttavia oggi tenere insieme un retto pensiero di Dio e un retto pensiero del mondo è molto difficile: così qualcuno sceglie Dio per disprezzo del mondo, qualcun altro sceglie il mondo per noia di Dio, mentre molti non scelgono né l'uno né l'altro, forse perché non avvertono più quell'esigenza radicale dell'anima che qualcuno chiamava "fame e sete di giustizia". In pagine ricche di dottrina e di passione per la verità, Vito Mancuso spiega e condivide le ragioni della sua fede in Dio. È un percorso in cui non mancano puntate polemiche, basato su un'ampia riflessione, che supera di slancio la strettoia tra due posizioni in apparenza contrapposte, che negano entrambe la nostra libertà individuale: da un lato l'autoritarismo delle gerarchie religiose, dall'altro uno scientismo ateo e semplicistico. Ma una civiltà senza religione, o con una religione senza cultura, argomenta Vito Mancuso, perde inevitabilmente la propria coesione interna, schiacciata su una sola dimensione, in balia di un egoismo molto prossimo al cinismo o alla disperazione. Io e Dio apre invece la strada verso una fede basata sull'amore e sul dialogo, sulla libertà e sulla giustizia.
Vito Mancuso è un teologo, docente presso la Facoltà di Filosofia dell'Università San Raffaele di Milano. I suoi scritti hanno suscitato notevole attenzione da parte del pubblico, in particolare "L'anima e il suo destino" (Raffaello Cortina, 2007, con prefazione di Carlo Maria Martini), un bestseller da oltre centomila copie già tradotto all'estero e con una poderosa rassegna stampa, radiofonica e televisiva. È oggetto di discussioni e polemiche per le posizioni non sempre allineate con le gerarchie ecclesiastiche, sia in campo etico sia in campo strettamente dogmatico. È editorialista del quotidiano "La Repubblica". Tra le sue ultime pubblicazioni "Disputa su Dio e dintorni" (con Corrado Augias, Mondadori 2009) e "La vita autentica" (Raffaello Cortina, 2009) che ha avuto anche un'edizione audio con prefazione di Lucio Dalla (Emons 2010). Presso una delle più prestigiose editrici accademiche tedesche è stato pubblicato di recente un saggio sul suo pensiero: Corneliu C.Simut, "Essentials of Catholic Radicalism. An Introduction to the Lay Theology of Vito Mancuso" (Peter Lang, 2011).
L'ispettore Ferraro è tornato. È tornato da una città che non ha mai capito, Roma, dove ha lasciato il commissario Elena Rinaldi, un'altra storia andata male. È tornato al commissariato di Quarto Oggiaro, solo e sconfitto, e dopo tre anni in trasferta deve ricominciare da capo. Con la barba incanutita, una nuova casa, la figlia Giulia in piena preadolescenza e Lanza trasferito a Bruxelles. Poi c'è il lavoro: una rapina in villa, con un epilogo tragico. Morto il rapinatore, uno zingaro, e morto il padrone di casa. Una vera rogna. E il solito Comaschi lì a fare battute idiote. Nello stesso momento, a Lodi, una rocambolesca evasione dal carcere finisce in un bagno di sangue. Una carneficina con mistero: l'evaso è un nero di piccolo calibro, come si spiega il commando malavitoso allestito per liberarlo? Chi è davvero Towongo Haile Moundou? Ironia del destino, a questa domanda dovrà trovare risposta proprio Elena Rinaldi. In un frenetico inseguimento da nord a sud attraverso un'Italia oppressa da un cielo plumbeo - con assolati squarci di un'Africa arsa da un sole crudele e desertico - Gianni Biondillo disegna con questo romanzo la mappa dettagliata e cupa di una nazione senza memoria. Un noir contemporaneo che scava nelle più grandi paure dell'Italia di oggi e ci restituisce un paesaggio preciso e puntuale del nostro Paese. Senza mai perdere di vista la speranza.
Gianni Biondillo è nato nel 1966 a Milano, dove vive. Fa parte della redazione di "Nazione Indiana". Presso Guanda sono usciti i romanzi "Per cosa si uccide" (2004), "Con la morte nel cuore" (2005), "Per sempre giovane" (2006), "Il giovane sbirro" (2007), "Nel nome del padre" (2009), la raccolta di saggi "Metropoli per principianti" (2008). Sempre per Guanda, Biondillo ha scritto con Severino Colombo "Manuale di sopravvivenza del padre contemporaneo" (2008), con Michele Monina "Tangenziali" (2010) e ha curato l'antologia di racconti "Pene d'amore" (2008).
Lei, una ragazzina sfrontata e furba. Lui, un uomo politico troppo potente che non si contiene più. L'altra, un magistrato integerrimo che ha messo paura a Cosa nostra e 'ndrangheta. Berlusconi e Ruby, visti come mai prima d'ora, ci raccontano il lato oscuro del potere all'italiana. Una storia vera che sembra inventata dalla sfrenata fantasia di un romanziere.
Piero Colaprico vive a Milano, è scrittore di gialli e inviato speciale di "Repubblica", per cui segue numerose storie di criminalità e corruzione (tra l'altro, ha "inventato" il termine Tangentopoli) e ha svelato per primo, insieme all'editorialista Giuseppe D'Avanzo, il giallo della telefonata del premier in questura e le serate con bunga bunga ad Arcore. Ha scritto saggi e fiction. Tra i primi, "Manager calibro 9-Vent'anni di malavita a Milano" (Garzanti 1996), basato in parte sui colloqui avuti con Saverio Morabito, uno dei principali pentiti dei clan calabresi al Nord, e "Capire Tangentopoli" (il Saggiatore 1996). Tra i suoi titoli di fiction ci sono "Kriminalbar" (Garzanti 1998), dedicato agli stili di vita della penultima generazione della malavita italiana; "Trilogia della città di M" (il Saggiatore 2004, premio Scerbanenco, arrivato alla quinta edizione) e "La donna del campione" (Rizzoli 2008). Un discorso a parte riguarda il ciclo dei romanzi che hanno per protagonista Pietro Binda, un anziano maresciallo della sezione omicidi dei carabinieri di via Moscova, che indaga nella Milano degli anni '80. I primi tre (Marco Tropea Editore) sono stati scritti insieme a Pietro Valpreda, che forse aveva il sogno di incontrare un investigatore "buono", visto quello che gli era capitato, detenuto ingiustamente per la strage di piazza Fontana e in attesa di processo per anni. Poi, con la morte di Valpreda, Colaprico ha proseguito da solo, scrivendo altri romanzi sul maresciallo Binda. Per il teatro ha scritto "Qui città di M", in replica da quattro anni.
Prima metà del XIX° secolo. Sullo sfondo di un'Italia che non è ancora una nazione, quattro giovani si muovono alla ricerca di un mondo migliore: un orfano spronato dalla semplicità che è dei contadini e dei santi; una donna, sensi all'erta e intelligenza acuta, avviata a diventare una spia; un pittore di lascive signore aristocratiche che batte la strada nuova della fotografia; e il generale Garibaldi, visto con gli occhi innamorati della splendente, sensualissima Aninha. Siamo di fronte a un'opera che si muove libera nella tradizione narrativa otto-novecentesca, europea e americana. Racconta, esplora documenti, inventa, gioca e tutto riconduce, con sicuro talento, a un solo correre fluviale di storie che si intrecciano e a un sentimento che tutte le calamita. Un grande romanzo sulla giovinezza: del corpo, della mente, di una nazione. Una grande storia popolare.
Alessandro Mari è nato nel 1980 a Busto Arsizio. Si è laureato con una tesi su Thomas Pynchon. Ha cominciato giovanissimo a lavorare per l'editoria, come lettore, traduttore e ghostwriter.
Il maestro di Torah più noto d'Italia, "il pensatore che fa volare": molte sono le definizioni per Haim Baharier, che da anni riempie i teatri d'Italia con le sue lezioni, a metà strada tra esegesi bibliche e narrazioni filosofiche. In questo nuovo libro Baharier offre un'originale rilettura del Decalogo, operata con la verve, l'arguzia e la profondità della grande tradizione ebraica. "Parlare di Dieci Comandamenti mi pare ingiusto. Non ci sono imperativi, nessuna imposizione. I verbi sono al futuro. Quei verbi portano promesse che si realizzano". Quindi non imperativi, ma promesse; ecco la tesi di base su cui Baharier sviluppa un percorso di lettura personale che ribalta la concezione classica dei dieci comandamenti e ci propone una rilettura del decalogo come non lo abbiamo mai sentito raccontare.
Haim Baharier è nato nel 1947 a Parigi da genitori di origine polacca reduci dai campi di sterminio. È stato allievo di Léon Askenazi e di Emmanuel Lévinas; ha frequentato a lungo il grande maestro hassidico Israel di Gur. Matematico di formazione, ha studiato in Francia dove è stato abilitato alla psicanalisi. Oggi è considerato tra i maggiori studiosi di pensiero ebraico e di ermeneutica biblica. Tiene a Milano delle lezioni seguitissime ed è anche un consulente aziendale molto richiesto. Ha pubblicato "La Genesi spiegata da mia figlia" (Garzanti, 2006) e "Il Tacchino pensante" (Garzanti, 2008).
Nel racconto d'apertura del volume Antonio Ingroia rievoca il suo primo giorno da magistrato, nella Procura di Marsala, sotto la giuda di Paolo Borsellino: "Entrai nel suo ufficio intimorito per il confronto con un giudice già così importante. 'Procuratore - esordii quasi balbettando - sono qui per il mio insediamento, quando crede che potrò iniziare a lavorare in questo ufficio?'. E lui: 'Ma scusa, collega - disse con tono grave - ti sembro forse tanto vecchio da dovermi dare del lei?'. E giù una fragorosa risata che ruppe subito il ghiaccio e mi rivelò il volto umano di quello che per me era un uomo-mito...".
L'incontro segnerà il destino professionale del giudice allora ragazzino, il suo impegno proseguirà nella sede di Palermo su posizioni sempre più risolute ed esposte nella lotta contro la mafia, e presto dovrà continuare senza le figure di riferimento di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. "Nel labirinto degli dèi" è il racconto-testimonianza di uno dei più autorevoli magistrati antimafia italiani, della sua scelta e della sua dedizione, esercitate nei luoghi in cui, per antica tradizione o per dannazione, lo scempio della giustizia e del diritto è condotto con più sistematica virulenza, con più corale partecipazione, fino a compenetrare le relazioni e persino la mentalità dell'intera società.
Antonio Ingroia (Palermo, 1959) è diventato nel 1992 sostituto procuratore della Repubblica presso la Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Dal 2009 è Procuratore aggiunto della Procura distrettuale antimafia.
Virginia Woolf non fu solo la grande romanziera che tutti conosciamo, ma anche una raffinata saggista, una critica acutissima, un'instancabile pubblicista. Lettrice onnivora e anarchica, cercò nei libri "una forma per il caos", vi trovò universi abitati da creature umane, con cui intrecciare ininterrotte conversazioni. Fin dalle prime recensioni lavorò senza pregiudizi: che si trattasse di epistolari, memorie o biografie, saggi critici o romanzi, autori celebri o emeriti sconosciuti, lo studio preparatorio era accurato, il giudizio schietto. La curiosità la guidava senza alcun preconcetto, alimentava i suoi piaceri più intensi, leggere e scrivere, due atti annodati fra loro, due oscure potenze che, fino alla fine, si definirono e si alimentarono reciprocamente. Le qualità della sua penna erano forza, grazia e trasparenza. La sua lingua, ironica e originale, ha attraversato il tempo e lo spazio con una immediatezza folgorante. Femminista, nel senso proprio della consapevolezza di essere una donna, dalla sua scrittura non traspare mai una recriminazione, con lei vediamo al lavoro un occhio lucido e spietato, che non perdona, ma spesso sorride e fa ridere. "Pensare le cose come sono" e "dire la verità" le bussole di sempre. In una parola, integrità: "Seguire il proprio istinto, usare il proprio cervello, trarre le conclusioni da soli".
Liliana Rampello, critica letteraria e saggista. Tra le sue numerose pubblicazioni, per il Saggiatore sono usciti la postfazione al "Secondo sesso" di Simone de Beauvoir (2008) e "Il canto del mondo reale. Virginia Woolf, la vita nella scrittura" (2005, Tascabili 2011).
Ci sono giorni in cui la vita è pesante e la morte leggera. Ci sono giorni in cui sei buono, altri in cui sei cattivo. Eugenio Monti, il Rosso Volante di Gianni Brera, è stato promessa dello sci, atleta discusso e incolpato dalla stampa, eroe mondiale di fair play, valente montanaro, imprenditore di successo, infine uomo solo. Si è chiamato fuori dal gioco, un gioco sporco cui non poteva più partecipare. Con un colpo di pistola nel garage di casa. Come altri grandissimi della storia, non solo sportiva. Una storia di passioni e di silenzio, una storia d'altri tempi.
Stefano Rotta, nato a Lodi appena sciolta la nevicata del 1985, s'appassiona per la scrittura con la Lettera 32 della nonna, con cui racconta storie di campagna e di acqua dolce. Dal 2003 collabora con "Lodi e Dintorni", dal 2005 con "il Cittadino", dal 2008 con la "Gazzetta di Parma". Ha pubblicato con Fuorionda "Nudo di donna con presidente". Nel 2011 ha vinto il premio Enzo Biagi, riconoscimento per giovani cronisti di provincia.
Protagonisti giovanissimi, la solitudine dell'adolescente globale, ansia di riscatto. E ancora: il mondo della ginnastica, l'ossessione della performance, la competizione. "Corpo libero" è un singolare romanzo di formazione che unisce l'amicizia - e l'inimicizia - femminile e il rigido controllo del corpo di uno sport affascinante e spettacolare come la ginnastica artistica.
Ilaria Bernardini è nata a Milano nel 1977. Ha lavorato per il teatro e per la televisione. Scrive per il cinema, per "Rolling Stone" ed è co-autrice del programma di Mtv "Very Victoria". Ha pubblicato "Non è niente" (Baldini Castoldi Dalai 2005) e la raccolta di racconti "La fine dell'amore" (ISBN 2006).
Cos'è la "Sindrome Rancorosa del Beneficato"? Una forma di ingratitudine? Ben di più. L'eccellenza dell'ingratitudine. Comune, per altro, ai più. Senza che i molti ingrati "beneficati" abbiano la capacità, la forza, la decisionalità interiore, il coraggio e, perfino, l'onestà intellettuale ed etica di prenderne atto. La "Sindrome Rancorosa del Beneficato" è, allora, quel sordo, ingiustificato rancore (il più delle volte covato inconsapevolmente; altre volte, invece, cosciente) che coglie come una autentica malattia, come una febbre delirante, chi ha ricevuto un beneficio, poiché tale condizione lo pone in evidente "debito di riconoscenza" nei confronti del suo benefattore. Questo nuovo libro di Maria Rita Parsi parla dell'ingratitudine, quella mancanza di riconoscenza che ognuno di noi ha incontrato almeno una volta nella vita. Attraverso una serie di storie esemplari, l'analisi delle tipologie di Benefattori e Beneficati, il decalogo del buon Benefattore e del Beneficato riconoscente e un identikit interattivo, l'autrice insegna a riconoscere l'ingratitudine e a difendersene, arginare i danni e i dolori che può provocare, magari usarla addirittura per rafforzarsi. E queste pagine semplici e coinvolgenti diventano così una sorta di consigli per imparare a fare bene il Bene.
Maria Rita Parsi di Lodrone, scrittrice e psicoterapeuta, lavora fra Milano, Roma e la Svizzera italiana. Dirige la Società Italiana di Psicoanimazione (Sipa) che ha fondato nel 1985, e dal 1992 è presidente del Movimento del Bambino. Dal 1984 fa parte dell'Istituto Riza e scrive sulle riviste "Riza Psicosomatica" e "Riza Scienze". Collabora a molti quotidiani e periodici con rubriche settimanali. Per Mondadori ha pubblicato "I quaderni delle bambine" (1990), "Il pensiero bambino" (1991), "Il mondo creato dai bambini" (1992), "I quaderni delle donne" (1994), "L'amore violato" (1996), "Le mani sui bambini" (1998), "L'amore dannoso" e "Trilogia della città di R." (1999), "Fragile come un maschio" e "Più furbi di Cappuccetto Rosso" (2000), "Amori imperfetti" (2003), "L'amore naturale" (2005), "Single per sempre" (2007) e "Alle spalle della luna" (2009).
Ogni dizionario che si rispetti è fatto di "definizioni" e definire «significa rinchiudere la sconfinata foresta dell'idea in un muro di parole». A Samuel Butler, autore di questo aforisma, è però toccato di ritrovarsi autore solo post mortem di un "Dizionario dei luoghi non comuni" scelti dai suoi taccuini. Neppure Armando Massarenti avrebbe mai pensato di comporre un dizionario, sia pure sui generis come questo, se non lo avesse trovato già scritto, ripercorrendo a ritroso il suo avventurarsi nella foresta, talvolta fittissima e irta di ostacoli, delle idee che hanno animato il dibattito culturale degli ultimi anni. Idee a prima vista piuttosto comuni, almeno per un dizionario filosofico-scientifico: argomentazione, assurdo, atarassia, bello, benevolenza e così via, fino a vendetta, verità, zero, passando per i meno usuali albi professionali, applauso o "win for life". Ma di non comune in questo dizionario non ci sono tanto le voci quanto la maniera in cui sono trattate. Lo spirito in apparenza da bastian contrario va interpretato come una lotta per non farsi ingannare dal dibattito attuale, che tende più a confondere che a chiarire, per fare in modo che queste idee - a partire da agnosticismo, fino a giustizia o vita - smettano di essere confuse nel guazzabuglio della neolingua di stampo orwelliano che si è venuta formando intorno a concetti filosofici di pubblico interesse. L'intenzione non è stupire, ma rimettere le cose a posto. Oppure rimettere le cose a posto suscitando stupore.
Armando Massarenti è responsabile della pagina "Scienza e filosofia" del domenicale del "Sole 24 Ore", dove si occupa, dal 1986, di storia e filosofia della scienza, filosofia morale e politica, etica applicata e dove tiene la rubrica "Filosofia minima". Per Guanda ha pubblicato "Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima" (Premio filosofico Castiglioncello 2007, Premio di saggistica Città delle rose 2007), "Staminalia" (2008) e "Il filosofo tascabile" (2009).
Da cinquant'anni diari attribuiti a Mussolini compaiono e scompaiono, in scenari che coniugano affarismo e sconsiderato revisionismo storico. Il punto di svolta è segnato nel novembre 2010 dalla pubblicazione dei "Diari di Mussolini [veri o presunti] 1939": cinque agende rinvenute dal senatore Marcello Dell'Utri in Svizzera sono presentate come la rivelazione del "volto umano" del duce, pacifista e amico degli ebrei, intimamente avverso a Hitler e preoccupato soltanto della "sua" Italia. Un testo, insomma, che costringerebbe gli storici a riscrivere la biografia di Mussolini e a reinterpretare le vicende del Novecento. Se fosse vero. Mimmo Franzinelli lo smonta con gli strumenti dell'analisi testuale e della ricerca storiografica e svela che si tratta di un manufatto fabbricato da specialisti in apocrifi mussoliniani. Un'indagine avvincente e rigorosa mette in evidenza incongruenze, anacronismi ed errori che caratterizzano i presunti diari e ne dimostra l'assoluta inverosimiglianza. Il lettore apprenderà, tra l'altro, quali sono le fonti - dai diari di Galeazzo Ciano ai quotidiani del regime - cui i falsari hanno generosamente attinto per la stesura di quelle pagine. "Autopsia di un falso" raffronta inoltre l'agenda 1939 con i falsi diari di Hitler lanciati nel 1983 dal gruppo editoriale Stern e illustra caratteri e modalità della massiccia operazione mediatica che ha accompagnato la pubblicazione dei diari mussoliniani. Il libro di Mimmo Franzinelli è anche una riflessione più ampia sulla falsificazione della storia e la manipolazione dell'opinione pubblica, sul divario tra gli eventi storici e la loro rappresentazione mistificante: un saggio rivelatore di una fase della vita pubblica italiana in cui - dalla cultura alla politica - il verosimile e la finzione tendono a sostituirsi al reale.
Mimmo Franzinelli, studioso dell'Italia del Novecento, si è occupato dell'epurazione ("L'amnistia Togliatti", 2006), della crisi politica degli anni '60 ("Il Piano Solo", 2010) e della strategia della tensione ("La sottile linea nera. Neofascismo e servizi segreti da piazza Fontana a piazza della Loggia", 2008). Per Bollati Boringhieri ha pubblicato "I tentacoli dell'Ovra" (1999, Premio Viareggio 2000), sui servizi segreti del regime fascista, "Rock & servizi segreti. Musicisti sotto tiro: da Pete Seeger a Jimi Hendrix a Fabrizio De André" (2010) e ha curato scritti inediti di Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi e Leopoldo Gasparotto.