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San Bassiano, il discorso del Sindaco

 

Discorso in occasione delle celebrazioni della Festa patronale di S. Bassiano
Cripta della Cattedrale di Lodi, 19 gennaio 2011

 
Eccellenza Reverendissima, autorità, amministratori dei Comuni lodigiani, gentili ospiti, carissimi concittadini;

con emozione (la stessa che oggi sta nei cuori di tutti i lodigiani) torno al cospetto delle reliquie del Santo patrono, nel giorno in cui si celebra la festa nell'anniversario della sua ordinazione a primo Vescovo della Chiesa Laudense, il 19 gennaio dell'anno 374.

Oggi lo spirito di condivisione di un momento a cui tutti sentiamo di appartenere rinnova una testimonianza profonda di devozione nei confronti di San Bassiano, grati per l'esempio che ci ha lasciato, esortandoci nel corso dei secoli a preservare e coltivare quelle attitudini alla carità che rendono una città ed un territorio uniti.

L'intervento che il sindaco del capoluogo e sede della Diocesi è chiamato per affermata tradizione a tenere nella cripta della Cattedrale riveste due significati: da una parte è l'espressione dell'omaggio delle istituzioni locali alla Chiesa, che rinsalda un rapporto di collaborazione nel comune impegno per il bene generale; dall'altra costituisce l'occasione per proporre alcune riflessioni sulla condizione che la nostra comunità vive.

E la prima di queste riflessioni non può che far memoria di un anno, il 2011, in cui l'Italia celebra il 150° anniversario dell'Unità nazionale: naturalmente, anche la nostra città vi aderisce, con convinzione.

L'aspirazione ad una sintesi unitaria, che tenga insieme, ma nel contempo valorizzi al meglio, le peculiarità locali, è per noi irrinunciabile.

Una nazione, tante città: non siano contrapposti né in un senso né nell'altro i due dati caratteristici della storia del nostro Paese e del nostro popolo.

Da questo punto di vista le città italiane sono il perno, il punto focale, dove le aspirazioni ed i progetti di vita delle persone si compiono appieno: è qui che il passato ed il futuro di ogni cittadino si realizzano ogni giorno.

Animati da questo spirito, gli Amministratori e i rappresentanti delle Istituzioni locali portano oggi alla Chiesa Laudense un saluto non formale, una dimostrazione di stima e di vicinanza che nasce dal riconoscimento del suo ruolo forte, che agisce nella profondità sociale e culturale del nostro tempo.

Al Patrono, ed al Vescovo suo attuale successore, non presentiamo, qui ed oggi, i risultati delle nostre azioni, ma desideriamo fornire una conferma risoluta del nostro impegno, ciascuno per le funzioni che gli sono assegnate, consapevoli del dovere di misurarci con l'obiettivo del bene comune.

A sostenere questo impegno ci sono l'applicazione e la serietà dei tanti lavoratori che garantiscono servizi pubblici essenziali; c'è la passione civile di chi dedica il proprio tempo all'impegno civico, inteso come esercizio di partecipazione, rappresentando le più svariate istanze sociali e sensibilità culturali; e c'è un ricco tessuto di volontariato e associazionismo, a cui il mondo cattolico contribuisce in modo significativo, capace di rinnovarsi e di seguire con attenzione l'evolversi dei bisogni che emergono nella nostra realtà.

In particolare, vorrei oggi evidenziare come dato estremamente positivo il ruolo che agenzie educative quali le scuole, le società sportive, gli oratori e le associazioni culturali ricoprono in città, quale sostegno indispensabile alla sfida formativa delle famiglie.

Svolgendo con passione una funzione così delicata, si affiancano così agli interventi educativi realizzati dal Comune e dalle altre istituzioni, dando vita, con le famiglie e a favore delle famiglie, ad una comunità educante premurosa, che cerca di accompagnare la crescita dei nostri bambini e ragazzi, per prepararli ad affrontare una realtà complessa ed in continuo cambiamento.

Anche Lodi ed il Lodigiano sono infatti coinvolti da sempre nuovi fenomeni sociali, dai quali non si può pensare di restare esclusi e che vanno affrontati in una logica di "rete", cogliendo in questi fattori di cambiamento le opportunità di crescita che possono offrire, anche quando ciò comporta passaggi inizialmente difficili.

Perché ogni cambiamento che ci viene proposto (i mutamenti del mondo del lavoro, lo sviluppo della società della comunicazione, i bisogni assistenziali di una popolazione sempre più longeva e fragile) comporta la disponibilità a interrogarci, per essere protagonisti e non spettatori, domandandoci che cosa desideriamo per la nostra città.

E cosa desideriamo? In una sola parola, ancora una volta, che diventi sempre più una comunità: nell'ascolto e nell'accoglienza del diverso (sia esso per condizione economica, grado di istruzione, provenienza geografica o professione di fede), nel maggior rispetto di tutti delle norme di convivenza, nella qualità dello sviluppo urbano, nell'investimento educativo che sopra ricordavo, nelle buone relazioni e nell'apertura oltre i nostri confini locali.

Queste, io credo, sono le declinazioni concrete del nostro desiderio di essere una cittàcomunità. Sono convinto che ne siamo in grado, oggi come ai tempi di San Bassiano: ma la condizione è che il nostro sguardo sia proiettato verso un progetto ispirato dal coraggio di confrontarci davvero con la realtà che viviamo, con i suoi problemi e le sue speranze, impegnandoci a far prevalere risposte di comunità sugli istinti antisociali e potenzialmente disgreganti.

Si tratta di un obbligo morale di responsabilità singola, prima ancora che collettiva. Sentirsi protagonisti e responsabili - direi di più, reciprocamente responsabili, ognuno verso gli altri - è il primo passo verso questo traguardo, per contrastare la tentazione a chiuderci in noi stessi, con un generico e pericoloso qualunquismo.
 
Il secondo passo allora è agire, attraverso una partecipazione allargata e diretta alle decisioni che coinvolgono le vite di tutti noi e su cui nessuno deve rinunciare a far sentire la sua voce.

In caso contrario, si corre il rischio di lasciare sempre più spazio alla disaffezione nei confronti della comunità ed al silenzio, senza comprendere che anche il silenzio a suo modo esprime una posizione che, inconsapevolmente, pesa.

Per esempio, non è accettabile il silenzio nei confronti delle disuguaglianze: di qualunque tipo essa sia, la diversità non diventi causa di un'inferiorità che può generare discriminazione.

Nasce qui l'importanza dei momenti di scambio e di dialogo con le tante e diverse espressioni culturali con cui siamo sempre più chiamati a confrontarci, ma anche con chi in città vive in contesti che quasi per convenzione vengono considerati "meno nobili" di altri.

Su questo aspetto desidero essere molto chiaro: la città è una, non ci sono una Lodi di prima fascia, da esporre in vetrina, e altre Lodi marginali da tenere nascoste.

E se così può a volte sembrare, sta a noi, alla nostra responsabilità, la possibilità di migliorare.

Ma non dobbiamo neppure pensare che la meta sia quella di garantire una sorta di uguaglianza indistinta: ognuno, infatti, è unico ed irripetibile ed ogni realtà ha le sue grandi potenzialità, che vanno valorizzate per quello che sono, senza appiattimenti; penso ai tanti volti della nostra città, ognuno con la sua peculiare ricchezza; e penso alla qualità del contributo sociale che offrono gruppi di persone tra loro differenti, che proprio per i loro tratti specifici devono essere coinvolti ad offrire il proprio apporto.

Riconosciamo allora negli altri queste unicità e proviamo ogni giorno a ricomporle tutte in un quadro di convivenza sempre più avanzato e solidale.

Infatti, è la solidarietà a fare la differenza tra una vera comunità ed un insieme di separatezze, indifferenti le une alle altre.

Dimostrarlo oggi, anche a Lodi, significa rispondere (andando anche oltre l'emergenza) alla richiesta di aiuto di quanti, in questo difficile momento di crisi - penso in particolare alle famiglie che vivono i drammi del lavoro e la possibilità di conseguenti lacerazioni nelle relazioni sociali e famigliari - si aspettano dalla comunità la conferma di esserne parte, di meritare attenzione, di essere accompagnati nel bisogno, di non essere confinati ai margini.

Non possiamo rinunciare a farlo; e ogni giorno questa città, anche per come la conosco io da sindaco, ne dà viva testimonianza.

Se in questa giornata Lodi e l'intera Diocesi vivono, nei simboli e nelle consuetudini della ricorrenza a noi cara, il culmine di un senso di appartenenza, è perché l'identità poggia sulla base di una comunità cresciuta nel corso della storia attraverso problemi e momenti lieti: superandoli con la passione del partecipare, la disponibilità dell'aiutarsi, la serenità per non avere paura.

E' la strada per uscire da ogni crisi: non venir meno alle responsabilità che abbiamo nei nostri ed altrui confronti.

E' in questo sereno coraggio che riconosciamo la grandezza della figura di San Bassiano e le virtù che ne hanno fatto l'espressione della lodigianità; non una rappresentazione, per quanto gradevole e confortante, del "buon costume" locale, ma la concretezza di un esempio di dedizione coerente e profonda.

Il fascino delle immagini ed il colore delle tradizioni non basterebbero, infatti, a rendere credibile quella che sarebbe solo una formula retorica, se dietro quelle immagini non si avvertisse il battito di un cuore.

Auguro a tutti, allora, che nella devozione dei lodigiani per il loro patrono ci sia oggi più che mai il nostro cuore; il cuore di chi, con gratitudine e fiducia, guarda a Bassiano per trovarvi le ragioni vere di una vita sociale bella perché condivisa.

Il 19 gennaio sia testimonianza di questa antica certezza e l'augurio di una rinnovata speranza.

In questo senso auguro a Lei, Eccellenza, buon San Bassiano.
 
E buon San Bassiano, davvero di cuore, a tutti i Lodigiani!

Lorenzo Guerini
Sindaco di Lodi