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Amleto, la trappola per topi

Perché ancora Amleto? Perché il principe di Danimarca non ha mai finito di dire ciò che aveva da dire, non ha mai smesso di rappresentare con spaventosa semplicità le contraddizioni che muovono le azioni degli uomini. Quello messo in scena dal Teatro Urlo, per la regia di Vittorio Vaccaio, è un Amleto non integrale, fatto solo di alcuni momenti, alcuni dialoghi, alcuni monologhi; frammenti dai quali è però possibile gustare l'intera essenza dell'opera. Un Amleto "anagrammato", un puzzle della tragedia, da cui sono stati raccolti alcuni pezzi e accostati in modo inconsueto. Vaccaro si è confrontato con un "montaggio" inusuale, una successione non canonica delle scene; ha "giocato" a portare Ofelia e Amleto in un chiassoso happy hour, ha osato portare Amleto e la madre Gertrude su un ring senza esclusione di colpi e ancora un Re Claudio in una chiesa di gretti provocatori. Da così lontano è partito, eppure forse tanto più vicino alla profonda verità della fragilità di Gertrude, della folle o forse scientifica e cinica premeditazione di Amleto, dell'ingenua freschezza di Ofelia, del torbido conflitto interiore di Re Claudio.
L'attore qui usa la sua personale "urgenza" espressiva, i propri "modi" di vivere, i suoi "intimi segreti", in una parola, la sua "verità", per far vivere i personaggi shakespeariani. Un Amleto dove si sono valutate diverse possibilità che muovono i personaggi all'azione: un Amleto principe che agisce forse non solo per vendicare il defunto padre ma anche per gelosia nei confronti della madre; un senso di impotenza il suo, che si traduce in meccanismo perverso in cui uno a uno, come su una giostra, tutti i personaggi cadono. Un re Claudio che non è solo l'assassino del Re di Danimarca ma anche un perdente che riesce a vivere solo anelando alle ricchezze e agli averi di un fratello superiore, quindi vittima di se stesso oltre che carnefice. Una Gertrude dura, marmorea ma anche logorata dai sensi di colpi, indecisa, insicura, fragile come ramoscello in una tempesta, e Ofelia non solo gentile, delicata, ingenua ma anche sensuale, provocatoria.
Tutto e il contrario di tutto. Un Amleto in cui la verità della vicenda emerge dagli opposti che alimentano la vita. Lo spettacolo è stato rappresentato in prima nel dicembre 2008 presso l'ex convento di Santa Chiara Nuova a Lodi ed in seguito al Festival Internazionale di Trento, al Festival di Teatro Indipendente di Pordenone, alla Festa del Teatro del Franco Parenti di Milano.
 
Il parere del regista, Vittorio Vaccaro
E' uno studio sulla forza emotiva dei personaggi, è una fase della ricerca infinita su un testo che non rivela tutto e che proprio per questo ci stimola continuamente a sviscerare i segreti più intimi di una tragedia senza età, senza tempo. Si parla di umanità vera, di contraddizioni, di errori, di paure e di urgenza. Questa messa in scena ha la voglia di portare a nudo i sottotesti attraverso lo sguardo puro, il gesto essenziale, la parola reale e il coraggio di respiri, silenzi e tempi che permettono a ogni cosa di vivere a pieno. Il silenzio diventa il luogo dove si coglie l'eco di un gesto, di una parola, di una tragedia personale, il luogo dove tutto decanta e tutto si manifesta senza giudizio e senza censura. Mettere in scena Shakespeare è una fatica incredibile, per chi è chiamato a interpretare i ruoli ma anche per chi deve dirigere la messa in scena. Non si tratta di una fatica solamente fisica, ma anche emotiva. Richiede generosità, apertura mentale e assoluta mancanza di pregiudizio. Il grande bardo è un autore che obbliga l'attore a mostrarsi e a concedersi come essere umano, senza esitazioni, mettendo a nudo i segreti più intimi. È anche per questo che a volte mi sono trovato in difficoltà a capire se dovevo osare con gli attori, indagare, provocare. Tuttavia, mi sono reso conto che tutto è possibile quando tutti credono nella stessa cosa. Shakespeare è un autore che cammina al passo con i tempi, di un'attualità spaventosa, e come dice il grande regista Peter Brook "appena pensi di aver trovato il giusto modo per mettere in scena Shakespeare, subito è già una messa in scena vecchia".

Il Teatro Urlo
La Compagnia Teatro Urlo nasce nel 2006 a Lodi, fondata da Vittorio Vaccaro, attore e regista diplomato all'Accademia d'Arte Drammatica Nico Pepe di Udine, al quale nel luglio 2008 si sono associati Ettore Distasio, esperto attore Milanese, e Venanzio Camarra, manager di produzione; diviene così Associazione Culturale senza finalità di lucro. Teatro Urlo è una compagnia di ricerca, che sposa la metodologia di lavoro denominata "La verità dell'attore", che consiste in un percorso di studio basato sulla credibilità recitativa e la necessità espressiva. Quest'approccio teatrale afferma la relatività della recitazione, che, senza alcuna pretesa a fondamento di una nuova scuola di pensiero, disconosce la volontà di credere in un'unica verità di metodo.